In occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente, lo scorso 5 giugno, abbiamo mostrato in Alessandria il docufilm UNTIL THE END OF THE WORLD di Francesco De Augustinis, questa volta sulla crescita vertiginosa a livello globale dell'industria dell'allevamento ittico, con pesanti ripercussioni a livello ambientale come il depauperamento degli ecosistemi marini coinvolti dagli allevamenti e il saccheggio dei mari, "fino alla fine del mondo", cioè in Antartide, per catturare altri pesci e piccoli gamberetti come il krill per produrre mangimi per quelli d'allevamento. A fine proiezione sono seguite alcune riflessioni.


Poster del film appoggiato al cannone all'ingresso del Museo "C'era una volta" di Alessandria

Le immagini di questa e delle precedenti opere di De Augustinis non possono lasciare indifferenti. Ci dimostrano che siamo la specie più vorace del Pianeta e nulla sembra poterci fermare dal continuare a depredare la natura, neppure il cambiamento climatico ormai conclamato. Eppure le soluzioni esistono, sono note da decenni, ma si persevera a battere la strada sbagliata: quella del consumo di proteine animali.

La stessa FAO, che quasi vent'anni fa (nel 2006), nel suo report "Livestock's Long Shadow - Environmental issues and options" individuava nel settore dell'allevamento intensivo di terra per la produzione di carne uno tra i massimi contributori ai più seri problemi ambientali, tra cui il riscaldamento globale, la deforestazione e la perdita di biodiversità, oggi promuove il settore dell'allevamento intensivo di pesci per riuscire a nutrire una popolazione mondiale sempre più in crescita (si stima che entro il 2050 saremo 9,7 miliardi), perorandone la sostenibilità ambientale, ma la realtà si dimostra essere ben diversa. Ad oggi il volume di pesce allevato ha raggiunto quello di tutto il pesce pescato per il consumo umano.

L'industria ittica con gli allevamenti di pesce inquina e distrugge habitat marini, inoltre per nutrire i pesci allevati, generalmente carnivori come salmoni, spigole, orate, branzini, tonni, servono enormi quantità di altro pesce pescato appositamente per essere trasformato in farina e olio di pesce, un vero paradosso. L'acquacoltura, oltre al saccheggio del mare che ha portato alla riduzione degli stock ittici a livelli critici e talvolta irreversibili, aggravato dagli stessi cambiamenti climatici, non è in grado neanche di garantire la tanto sbandierata sicurezza alimentare, in quei paesi africani che si affacciano sull'oceano, che vedono invece sottrarsi quel poco pesce pelagico ancora rimasto, per produrre mangimi.

Siccome produrre farina e olio di pesce sta diventando sempre più costoso per via della riduzione dei pesci pelagici, l'industria ittica sta cercando soluzioni alternative: produrre mangimi per i pesci partendo dagli insetti o dalla soia, perpetrando però così l'errore già commesso per la produzione di mangimi per gli animali d'allevamento di terra: bovini, suini e polli (disboscamento delle foreste per fare spazio a immense piantagioni di soia, consumo di acqua, ecc.). L'ultima frontiera è il krill, un piccolo gamberetto abbondante nei mari antartici, alla base della dieta di balene e pinguini, ora anche loro minacciati per via della sua riduzione: gli scienziati hanno già rilevato una diminuzione della popolazione dei pinguini.

Siamo veramente giunti alla "fine del mondo", non solo in senso geografico, a Punta Arenas, dove si conclude il viaggio dell'inchiesta di De Augustinis, ma anche nel senso che il mondo, la vita su questo Pianeta, è alla fine, costantemente minacciata, nonostante gli allarmi che da almeno vent'anni gli scienziati lanciano sulle proporzioni ormai preoccupanti del problema del riscaldamento globale e in generale dell'estinzione di massa della vita animale e vegetale sul pianeta per cause antropiche. In tutto questo, il problema della crudeltà sugli animali non è neppure sfiorato.

Una persona vegan che assiste a questo scempio rimane esterrefatta perché sa che basterebbe abbattere a livello globale il consumo di proteine animali, se non altro nei paesi ricchi, che poi sono quelli che ne consumano di più, ma in tutti questi anni, a parte qualche caso isolato, come per esempio i "giovedì senza carne" promossi della città belga di Ghent, la prima al mondo ad averlo fatto, non abbiamo visto alcuna misura istituzionale a livello internazionale, nazionale e locale per promuovere un graduale cambio di dieta verso una a base vegetale.


Era il 2009, all'Europarlamento, Rajendra. K. Pachauri, Presidente dell'IPCC:
abbattere il consumo di carne per salvare il clima

Dr. Rajendra Kumar Pachauri (1940 - 2020) era un economista e scienziato indiano. È stato Presidente dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. Nel 2007 è stato insignito del Premio Nobel per la pace per aver individuato nei cambiamenti climatici una potenziale minaccia alla sicurezza e alla pace a livello globale, poiché lo scioglimento dei ghiacciai, le inondazioni e le alluvioni, l'innalzamento del livello del mare e la scarsità delle risorse idriche potranno scatenare guerre per l'acqua e produrre esodi climatici di intere popolazioni. Sull'opzione vegetariana come arma per combattere il riscaldamento globale, Pachauri la riteneva l'opzione più stimolante e invitante in termini di fattibilità e immediatezza, quella che consentirebbe di ottenere cali apprezzabili nel breve periodo.

Si capisce ora meglio il senso della foto che abbiamo scelto in apertura dell'articolo, il cannone con davanti appoggiato il poster del film ambientalista e i fiori nella bocca del cannone. I cambiamenti climatici sono una minaccia anche alla sicurezza e alla pace dei popoli. Inoltre, in questo particolare momento storico con i venti di guerra che spirano alle porte dell'Europa, anziché investire milioni di euro e dollari in armamenti, sarebbe più saggio combattere i cambiamenti climatici e fare pace con la Terra e tutti i suoi viventi.