La sera del 10 dicembre 2022, in occasione della Giornata dei diritti degli animali, come gruppo AgireOra di Alessandria, abbiamo scelto di proiettare, presso il Museo etnografico C'era una volta, il film GUNDA, di Victor Kossakovsky, prodotto da Joaquin Phoenix.

Il film è un'opera di estremo realismo, un documentario, senza musica e senza commento alcuno dove gli unici suoni che accompagnano le immagini sono quelli naturali, degli animali e dell'ambiente circostante, per un'immersione ancor più realistica, tra Gunda e i suoi piccoli, le mucche di un allevamento, mucche libere e galline ovaiole recuperate e salvate, tra cui una senza una zampa.

Le immagini ci raccontano la quotidianità della scrofa Gunda e dei suoi piccoli nei primi mesi di vita della cucciolata, partendo dal parto, seguendoli nella loro prima uscita in esterno, alla scoperta del mondo fuori, la pioggia, la terra, l'erba e tutto un mondo nuovo per loro.

Sono immagini bellissime, girate in bianco e nero, ma che forse per questo divengono ancora più intense e ci raccontano di attimi e giornate felici di questi animali liberi di giocare, grufolare e imparare dalla loro madre Gunda, proprio come i bambini apprendono dai propri genitori, in un ambiente tutto per loro, senza costrizioni, fra gli alberi e il fango, tra giochi e poppate.

È tutto bellissimo, forse troppo bello per poterci credere, perché la realtà che non si può ignorare, la cruda verità è che questi animali siano solo apparentemente liberi, poiché quel mondo idilliaco è solo una versione edulcorata di un allevamento, non intensivo, all'aperto, sì, ma pur sempre un luogo preposto ad un fine specifico, ossia allevare "prodotti" ad uso e consumo umano.

Per tutta la durata del film l'uomo non compare, ma vi sono alcune scene di mucche che escono da un capannone e corrono in un campo e questo ci lascia presagire la realtà, quel capannone è significativo della vita e del destino di quelle mucche.

Ma anche se non vediamo mai esplicitamente nessun umano in queste immagini, ad un certo punto la sua presenza si palesa e avviene quel che mai avremmo voluto.

Il film non ha scene cruente, non mostra violenza alcuna, non c'è male esplicito, eppure aleggia un presagio per tutto il tempo e le immagini scorrono lasciandoci in attesa di qualcosa che dovrà succedere, l'inevitabile, e seppur non ci venga mostrata violenza, forse una madre che cerca e non trova i propri piccoli è sufficiente, è sufficiente quel dolore, quella perdita a farci comprendere quanto malsano e crudele sia questo sistema, un sistema che permette di rubare i figli alle madri per renderli prodotti di consumo.

Dalle dichiarazioni del regista, che dice esser stato "forse il primo bambino vegetariano in Unione Sovietica", emerge la sua decisione di offrire una visione super partes, la scelta di non schierarsi, di astenersi dall'offrire giudizi e la volontà di proporre semplicemente uno spaccato di realtà, di vita reale di questi animali, lasciando allo spettatore la possibilità di riflettervi e trarne le proprie conclusioni.

Ma è davvero possibile? Si può veramente scegliere di offrire queste immagini in pasto agli spettatori senza schierarsi?

Sì, il regista l'ha fatto, ma viene spontaneo domandarsi come abbia potuto astenersi dal dare la propria personale opinione in merito, sopportando la cruda realtà degli eventi, il destino già scritto dal principio riservato a quei cuccioli, senza opporvi resistenza, senza far nulla, se non riprendere la loro vita segnata, per dare a noi la possibilità di comprendere liberamente, di fare una riflessione non contaminata, di decidere da che parte stare.

E se anche avesse ottenuto di salvare quegli animali, quelli del suo film, sarebbe stato giusto nei confronti di tutti gli altri che non abbiano questa possibilità?

Domande a cui non sappiamo dare una risposta, su cui possiamo solo riflettere, ingoiando rabbia e rammarico.

Qualcuno potrebbe consolarsi all'idea che alcuni animali abbiano almeno la possibilità di vivere in libertà per il tempo che è loro concesso, piuttosto che in allevamenti intensivi in cui le condizioni di vita sono estreme, tra spazi ridotti al minimo, gabbie e sporcizia, mancanza totale d'igiene e di possibilità di avere anche solo la parvenza di una vita degna di tale nome, dove i piccoli maialini spesso muoiono nelle peggiori condizioni e subiscono abusi indicibili nei primi giorni di vita, invece, nelle immagini del film vediamo maialini che almeno vivono liberi, almeno...

Ma basta questo? Può bastare a consolarci?

Dato che hanno vissuto una manciata di giorni felici, liberi di vivere come Natura vorrebbe, allora sarà più facile accettare che vengano uccisi a pochi mesi?

La risposta dovrebbe esser semplice, anzi lo è ed è no, come semplice è la soluzione, unica possibile per la tutela degli animali e dell'ambiente, per una vita più etica, per evitare gli orrori cui ci siamo abituati o che spesso vengono ignorati ed è smettere di nutrirsi di altri esseri senzienti.

Il nostro pubblico, circa venticinque persone, si è posto alcune di queste domande dopo la visione di GUNDA, un pubblico eterogeneo, tra vegani e non, conoscenti e persone viste per la prima volta e per noi è stato un buon risultato, perché venticinque persone che si riuniscono per vedere un film i cui protagonisti non siano cani e gatti o animali dalla forte attrattiva, ma maiali e mucche, animali orribilmente definiti "da reddito", in una nebbiosa serata di dicembre, forse un tempo sarebbe stato impensabile.

L'augurio più grande che ci possiamo fare è che la riflessione sulla condizione animale possa portare ad una scelta e non restare solo un pensiero, una parentesi di commozione, ma che possa trasformarsi in azione nella vita di tutti noi, che le persone possano scegliere da che parte stare.

Una madre che vede andar via i propri piccoli, che cerca e annusa le loro tracce e non li trova, entra in quella che è stata la loro casa, esce e annusa e ancora e ancora i loro odori, il senso di smarrimento, mentre lei resta lì, con le mammelle gonfie di latte e guarda allontanarsi la macchina che se li è portati via, quel dolore, quella mancanza, dovrebbero bastare.