Sabato pomeriggio 20 gennaio abbiamo allestito un banchetto informativo e una mostra a pannelli fotografici per ricordare gli animali vittime della vanità, quelli catturati in natura o allevati in cattività e infine crudelmente ammazzati a randellate, con l'elettrocuzione o in camere a gas o anche scuoiati vivi, per prenderne il manto per farne pellicce o inserti che decorano i cappucci e i polsini di giubbotti e giacconi, cappelli, borse, scarpe, ecc.. L'iniziativa si è svolta ad Alessandria sotto i portici di Corso Roma.
Un banchetto minimale con dei volantini e dei cartelli con le foto di ciò che resta dei procioni scuoiati vivi e coscienti: i loro corpi sanguinanti sono accatastati gli uni sugli altri e continuano ancora a muoversi tra atroci sofferenze. Poi due pellicce accostate, una ecologica, che non ha fatto male a nessuno, e una di visone per la quale sono invece stati ammazzati dai 30 ai 50 animali. Le pellicce grondano sangue, peccato che chi le indossa non voglia sapere.
Durante il presidio abbiamo invitato i passanti, soprattutto gli "impellicciati" in varia misura, a guardare negli occhi gli animali fotografati nelle gabbie degli allevamenti esposti nella mostra. I loro sguardi sembrano implorarci e non "dovrebbero" lasciarci indifferenti, ma la gente ha fretta, passa veloce e alza le spalle. L'empatia delle persone è inversamente proporzionale al carico di morti e sofferenza che si portano addosso.
Fino ad ora coloro che intendevano acquistare una pelliccia ignoravano tutto della cattura, dell'allevamento intensivo e del barbaro martirio degli animali. Ma oggi non ci sono più scuse. Davanti alle prove fotografiche e alle cifre devono ora decidere se possono o vogliono ancora portare una pelliccia. La pellicce non sono uno status symbol, ma esprimono tutta la miseria umana di chi le indossa.