Riportiamo alcune riflessioni sul film documentario "IL VORTICE FUORI" di Andrea Grasselli e Giorgio Affanni, mostrato domenica 30 luglio a Isola Sant'Antonio presso la Sala "Monsignor Silvani". La serata ha visto la partecipazione di un folto pubblico, soprattutto del mondo agricolo, considerato che in questa zona l'agricoltura è l'attività prevalente.
Nella realtà vorticosa in cui si trova immersa l'attuale società occidentale si guarda con sospetto alla lentezza: oggi è imperativo non restare indietro e, perciò, la lentezza è ritenuta inefficiente, poco desiderabile e perdente. Per essere vincenti bisogna, dunque, essere veloci e poco importa se poi, anche nei rapporti umani, ciò risulta nocivo: quante volte, infatti, la conoscenza dell'altro si consuma nell'immediato, fissandosi in un'arida e indifferente superficialità? Così, la scelta di chi, in questo panorama di folle frenesia, si propone di vivere lentamente viene percepita come un atto estremo, quasi di ribellione. Eppure i tempi e i ritmi della natura, che poi sono quelli vitali ed essenziali, sono lenti ed, altrettanto, lo sono quelli della riflessione e del pensiero, che sono a fondamento delle espressioni più alte delle capacità umane. Il tempo e il ritmo narrativo de "Il Vortice Fuori " sono scanditi dal lento alternarsi delle stagioni, nell'arco di un anno e mezzo, nella Media Valle Camonica: è qui che Claudio lavora e coltiva la terra nel rispetto di quelli che sono i suoi tempi e ritmi antichi e senza l'ausilio di mezzi meccanici, fertilizzanti e pesticidi. È una scelta in cui è facile ravvisare il ritorno a una consapevolezza che era già dei nostri avi che, nel coltivare la terra con pazienza e senza forzature, ben comprendevano quanto fosse fondamentale per la propria sopravvivenza il rispetto dei cicli naturali. C'è, però, anche qualcosa di più profondo. Il film disegna il quadro di una scelta che è fatta di duro lavoro e attesa. Ed è nei tempi e ritmi lenti dell'attesa che riaffiorano gli interrogativi di sempre : "Chi siamo?", "Da dove veniamo?", "Qual'è il nostro ruolo in questo mondo?", " Cosa ci aspetta?". La ricerca delle risposte a queste domande si risolve nella contemplazione pura della natura che apre le porte a quella buona sapienza che ci vorrebbe custodi di un mondo di pace, dove tutto è strettamente collegato e ogni vita senziente merita rispetto. Il ritorno autentico alla terra si rivela così come un viaggio teso al recupero di una "bontà " originaria dell'umanità.
Angela Spadafora