Ci scrive una persona dopo aver letto uno dei nostri volantini distribuiti a qualcuna delle sagre di questa estate dove abbiamo organizzato dei presidi di sensibilizzazione al vegetarismo. Pubblichiamo qui la sua e-mail perché le domande che ci pone sono molto comuni, e insieme alle domande, le nostre risposte.
Ieri sera insieme a un gruppo di amici mi sono recato a una di queste sagre, e a un mio amico è stato consegnato uno dei vostri fogli e gli sono state mostrate delle foto. Vi lamentate tanto degli sprechi di carne che noi facciamo uccidendo dei poveri animali, e voi non vi vergognate di far tagliare così tanti alberi per poter stampare questi volantini e portarli in posti dove di certo troverete ben poca gente che è dalla vostra parte.
Non abbiamo bisogno di "convertire" chi è già dalla nostra parte, ma di informare proprio chi non lo è, o per lo meno, chi per bontà sua, non si è mai posto il problema. Convengo con lei che per fare i volantini si tagliano gli alberi. Finiti questi volantini, passeremo alla carta riciclata, ma anche quella è ottenuta con solventi che inquinano. Qualche consiglio?
Se stiamo al vostro ragionamento anche la verdura che voi mangiate (insalata) viene uccisa per poterla mangiare,
Se abbiamo a cuore anche le piante, se ne ucciderebbero molte di meno se le consumassimo direttamente, piuttosto che se venissero consumate dagli animali che poi ci mangiamo. Il 70% delle coltivazioni sono infatti destinate all'alimentazione degli animali, quando per produrre un solo kg di carne ci vogliono dai 7 ai 15 kg di cereali, a seconda delle valutazioni, che potrebbero sfamare una decina di persone, anziché molte meno con un solo kg di carne.
perciò di cosa potremmo cibarci.
Anch'io me lo chiedevo quando non ero vegetariano. Siamo talmente abituati al consumo di carne, tutti i giorni, o a pranzo, o a cena, o a merenda, che non sappiamo davvero immaginarci altro e alla fine consumiamo prodotti animali in continuazione. Ma è questa la vera limitazione, non essere vegetariani! Purtroppo è un luogo comune pensare che i vegetariani si nutrano solo di insalata. Un vegetariano, o un vegan, non consuma in realtà più insalata di quanto non ne consumi un onnivoro. Ciò che i vegetariani fanno è sostituire le proteine animali con quelle vegetali, che si trovano nei legumi, nei cereali e nella frutta secca (nocciole, mandorle, noci, ecc.). La mensa vegetariana è in realtà ricchissima, basta scoprirla. Molti dei piatti tradizionali della cucina italiana sono già vegan e altri possono diventarlo con piccole modifiche. Esistono innumerevoli risotti vegetariani, molti condimenti per la pasta, varie zuppe e minestre a base di verdure e legumi, torte salate di verdure, legumi cucinati in vari modi e tutti i piatti di verdura che siamo abituati a considerare come "contorno" possono diventare ottimi secondi aumentandone semplicemente la quantità o arricchendoli con semi, cereali e frutta fresca o secca. Perciò, essere vegetariani è davvero molto facile, anche senza introdurre alcun "cibo nuovo" nella nostra dieta. Di già che ci siamo, però, perché non esplorare anche nuovi e gustosi cibi, tradizionali in altre culture?
Poi scusate se ve lo dico ma se aveste studiato un po' di biologia alle medie o alle superiori avreste letto che l'uomo è onnivoro (si ciba sia di carne che di vegetali) è sta in cima alla piramide alimentare. Non sarete di certo voi a girare questa piramide (di certo non si può dire a un leone di non mangiare una gazzella).
Nessuno vuole girare la "piramide alimentare". Alcune specie animali ne uccidono altre per cibarsene, la maggior parte delle specie invece è erbivora (o onnivora, potendosi nutrire, quando capita, di cibo animale). Inoltre, gli animali veramente carnivori non hanno scelta. Il leone non può nutrirsi di frutta, ne morirebbe, e non ha la possibilità di coltivare cereali e legumi. Noi sì e abbiamo la possibilità di scegliere. Quindi la responsabilità è solo nostra, non della "Natura".
Se poi in Italia non vengono mangiati cani e gatti voi di certo non potete saperlo, infatti in certe parti del mondo vengono mangiati e si dice che siano carni pregiatissime; se non vengono mangiati è solo una questione di tradizioni del paese in cui si vive.
Si, è certamente una questione culturale. è una cultura che ci ha abituati fin dai primi anni a considerare in modo diverso animali di specie diverse, ad attribuire alcuni "diritti" ad alcune specie da noi predilette, e a negarli ad altre. Quindi nel nostro caso, abbiamo cura di cani e gatti, in Corea se li mangiano. In India non ucciderebbero la mucca perché considerata sacra, noi lo facciamo tranquillamente. Ma la questione di base per molti vegetariani come me, è di tipo etico: "Chi sono io per poter decidere della tua vita, anche se sei di un'altra specie?" Ciò che ci rende così difficile accettare che gli animali debbano godere dello stesso rispetto dovuto agli esseri umani è la nostra visione antropocentrica del mondo, secondo la quale l'uomo è al centro dell'universo e tutte le altre specie sono a lui sottoposte. Questa visione ha prodotto appunto la cultura specista.
Se fossimo di nuovo in tempo di guerra non andreste tanto in giro a dire queste cose e quello che avete lo mangereste.
Ma non siamo in tempo di guerra per fortuna. E anche se lo fossimo, resterei vegetariano. Consideri che in tempo di guerra la gente mangiava la carne una volta al mese (se era fortunata). Ancora una volta a dimostrazione che non era certo quel poco di carne che riuscivano a mangiare a salvargli la vita. Quindi se ne può fare a meno anche totalmente.
Al posto di dire che quelli che mangiano la carne provocano la fame nel terzo mondo e voi non fare nulla, sarebbe quasi meglio che vi applicaste un po' anche voi ad aiutare quella povera gente.
Penso che i vegetariani stiano già facendo qualcosa di concreto e per il Terzo mondo. La rimando a un articolo che le allego in fondo dal titolo "Carne amara" di Daniela Condorelli.
Per finire se nessuno mangiasse più carne rischieremmo di essere invasi dagli animali e rischieremmo di essere mangiati.
Riformulo la sua domanda, perché sul fatto che "noi" rischieremmo di essere mangiati da "loro" è alquanto improbabile giacché la maggior parte di questi animali, se non tutti, sono erbivori. Allora si potrebbe dire: "Se non uccidessimo gli animali per mangiarli non ci sarebbe più spazio per noi sulla Terra." Allora tengo a precisare che questi animali non esistono in natura, siamo noi che li facciamo nascere. Non è che esistono e noi li "dobbiamo" ammazzare affinché non arrivino a sopraffarci. Al contrario, siamo noi stessi che, facendoli nascere e allevandoli, rubiamo spazio alla nostra specie, e alle specie selvatiche, per far posto a questi animali. Allora potreste ribattere: "Ma allora se non allevassimo più questi animali, si estinguerebbero". Innanzitutto, il problema che il vegetariano etico si pone non è certo un problema di estinzione della specie, ma di sofferenza dei singoli individui. Questi animali vengono fatti nascere e allevati solo per essere uccisi, non sono animali che vivono in natura. Esistono delle specie selvatiche che somigliano loro (i cinghiali, i bufali, vari uccelli, le lepri, ecc.), e che continuerebbero ad esistere, se l'uomo le lasciasse in pace. Far nascere degli animali con il solo scopo di tenerli prigionieri e poi ammazzarli non può essere certo visto come un servigio reso loro o alla loro specie. Molto meglio non farli nascere affatto!
Allego un articolo apparso sul Supplemento "Donna" de La Repubblica del 28 Maggio 2002. Avere dei dati è importante per motivare le nostre azioni, per noi stessi e per chi ci circonda e spesso non capisce, o non capirebbe, o continua a non voler capire.
CARNE AMARA di Daniela Condorelli
Chi mangia gli animali consuma le risorse della Terra quattro volte più di chi non lo fa, ecco perché una moda alimentare si sta trasformando in un movimento mondiale dirompente.
La prossima volta che mangi una bistecca pensaci su.
Pensa ai liquami che filtrano nelle falde acquifere, alle foreste disboscate, al deserto, all'anidride carbonica e al metano che intrappolano il globo in una cappa calda. Sì perché ogni hamburger equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell'effetto serra. Ma pensa anche alle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla tua bistecca. E non dimenticare che 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e 9 milioni ne hanno tanta da morirne. Il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve a sfamare animali. Non uomini. Mangiare meno carne o, perché no, non mangiarne affatto, non è più solo un segno di rispetto per gli animali, è una scelta sociale. Solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta (è uno solo, piccolo e sovraffollato). Pena: l'avveramento della profezia dell'economista Malthus che già due secoli fa ammoniva: "Arriverà il giorno in cui la pressione demografica avrà esaurito la capacità della Terra di nutrire l'uomo." È questo il messaggio che emerge dai dati sull'impatto ambientale ed economico dell'alimentazione carnivora. E che sarà gridato a gran voce l'8 giugno a Roma da tutti i sostenitori della Global Hunger Alliance durante il vertice mondiale sull'alimentazione della FAO. La Global Hunger Alliance, lo dice il nome, Alleanza Globale contro la Fame, è una coalizione internazionale non-profit che promuove soluzioni ecologiche ed equo solidali per risolvere il problema della fame nel mondo. Al suo appello (lo trovate su hanno aderito movimenti da 30 Paesi del Nord e del Sud del mondo. Dall'Italia, vegetariani, ambientalisti e difensori degli animali si associano con la campagna "Contro la fame un'altra alimentazione è possibile". Tutti in marcia per chiedere all'Unione Europea di disincentivare gli allevamenti intensivi e mangiare meno carne e alla FAO di scoraggiare il trasferimento della zootecnia intensiva nei Paesi in via di sviluppo.
Ma eccoli questi dati che fanno, perlomeno, pensare.
Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l'80% della foresta tropicale e in Brasile c'è voluto l'omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull'uso della foresta pluviale, per accorgersi dell'esistenza di una "bovino connection". In Amazzonia la foresta pluviale è stata fagocitata da 15 milioni di ettari di pascolo. Eppure è in questo habitat che dimora il 50% di specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo. Dove prima c'erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie. "Vacche ovunque", scrive Jeremy Rifkin nel suo "Ecocidio, Ascesa e caduta della cultura della carne" (Mondadori): "Più di un miliardo di vacche che pascolano nei cinque continenti". E deforestazione per creare pascoli significa desertificazione. Dopo tre, al massimo cinque anni, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese!) ed esposto a sole, piogge e vento, diventa sterile e i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta. Ci vorranno da 200 a mille anni perché quel terreno ritorni fertile. Ma non basta: un quarto delle terre emerse vengono usate per nutrire il bestiame.
E che dire dell'acqua?
Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame. È stato calcolato che un chilo di manzo beve 3.200 litri d'acqua. Il risultato è che le falde acquifere del Mid-West e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo. Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici. "Tutti prodotti dalle stesse, poche, multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame", fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo "Le fabbriche degli animali" (Edizioni Cosmopolis). "Ogni anno in Europa", incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice, per la LAV, di "Addio alle carni", "gli animali da allevamento consumano 5 mila tonnellate di antibiotici di cui 1.500 per favorirne la crescita. E tutti vanno a finire nelle falde acquifere". Un dato italiano, che ci riferisce Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di "Post-human", in libreria in questi giorni per Bollati Boringhieri: "Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190 mila tonnellate di deiezioni animali. Contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni. Con quali conseguenze? Ricordate il problema delle alghe abnormi nel Mar Adriatico?" Marchesini parla di "fecalizzazione ambientale" e Rifkin ci illumina sulla portata del problema riportando che un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno. C'è dell'altro: i bovini sono responsabili dell'effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero. A causa dell'uso di petrolio (22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno), dell'anidride carbonica scatenata dal disboscamento.
Vogliamo riassumere?
È la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della biodiversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca. E tutto questo per cosa? Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di "Diet for a small planet" definisce "fabbriche di proteine alla rovescia". Significa che ci vuole un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali. Non solo: "Per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie", spiegano gli autori di "Assalto al pianeta" (Bollati Boringhieri), "il manzo deve ricavare 5 mila calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d'erba che ne contenga 50 mila. Solo un centesimo di quest'energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata"... Usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiamo come ossa o peli. Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta. Quel 20% che sfrutta l'80% delle risorse mondiali. Per dare a quel 20% la sua bistecca quotidiana. "Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'ingordigia di alcuni", diceva Gandhi. Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti. "Dal Dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all'anno a 85-90 (110-120 negli States)", riferisce Marchesini. Secondo Moore Lappé le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno. E la FAO conferma che se una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, un'alimentazione che comprenda il 25% di prodotti animali può sfamarne solo 3,2 miliardi.
Ma c'è un problema.
La domanda di carne sta crescendo. Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali. Stiamo esportando il nostro modello alimentare (o vogliamo chiamarlo colonialismo?). Secondo l'IFPRI entro il 2020 la domanda di carne nei Paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche. E raddoppierà, sempre nei Paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali per nutrire queste tonnellate di carne. Fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate. Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse. Il manzo globale sta diventando una realtà. Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne. La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l'industria dell'allevamento e della macellazione. Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger. "Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita del 20% ogni dieci anni", scrive Rifkin, "si sta preparando una crisi alimentare planetaria". Incalza Correggia: "È stato calcolato che l'impronta ecologica, cioè il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4 mila metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un vegetariano. E allo stato attuale, la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della Terra è di 2.700 metri quadrati". Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia. La Global Hunger Alliance chiederà alla FAO di frenare l'avanzata carnea a Sud opponendo le ragioni della resa energetica. Secondo la Correggia bisogna "promuovere il miglioramento della dieta nelle aree povere, ad esempio con una miglior combinazione degli alimenti, la produzione locale di integratori a basso costo e il recupero di cereali e legumi tradizionali molto più ricchi di quel trinomio riso-frumento-mais (rigorosamente raffinati!) che ha conquistato il mondo".
Economia, ecologia e cibo per tutti sì fondono.
Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di risorse che la Terra mette a disposizione di ciascun essere vivente. Se qualcuno consuma di più c'è un altro costretto a digiunare. Naturalmente non è così semplice. La fame nel mondo non è solo una questione di quantità di risorse, ma di distribuzione. O meglio, con Marchesini "è una questione di produzione, consumo e distribuzione insieme". Essere vegetariani è una scelta personale, frutto di un percorso (certo, se cominciassimo a ridurre quei 90 chili di carne all'anno...). Marchesini la definisce una scelta di etica privata (etica pubblica, obbligo collettivo, deve essere, invece, l'attenzione al benessere degli animali). Ma essere vegetariani è anche un atto di responsabilità e sensibilità sociale ed ecologica. Scrive Rifkin: "Milioni di occidentali consumano hamburger e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto delle loro abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta. Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell'atmosfera"...
La prossima volta che decidi di comprare una bistecca pensa a tutto questo. Forse per quel giorno cambierai menu. E, chissà, sostituirai la carne con un piatto di germogli di sola. Con buona pace della tua salute e di quella del tuo pianeta.
di Daniela Condorelli