Lo scorso 14 giugno la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha sancito che non si può usare il termine "latte" per la bevanda derivata dalla soia o da qualsiasi cosa che non sia un animale che dà latte. Così neppure "burro", "formaggio", "panna", "yogurt" per i cibi vegan. Anche l'aggiunta di indicazioni descrittive o esplicative "non può escludere con certezza qualsiasi rischio di confusione nella mente del consumatore"...

Confagricoltura plaude la Sentenza della Corte di Giustizia, preoccupati che il consumatore non sia consapevole di ciò che acquista e mangia. Coldiretti parla invece di "inganno" di latte e formaggi vegan nei confronti dei consumatori. Si legge in un comunicato stampa di Coldiretti:

I prodotti vegetariani e vegani non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare i latticini, ponendo fine a un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta.

Cerchiamo di capire dov'è il vero inganno. Già da tempo la maggior parte delle bevande vegetali a base di soia (o a base di cereali), non riporta il nome "latte" in etichetta, ma "bevanda", "drink", o semplicemente "soia", "avena", ecc. Chi acquista questi prodotti, sa benissimo cosa acquista. L'inganno è ben altro. È ciò che non viene detto su come viene prodotto il latte animale. La pubblicità ci inganna con immagini bucoliche di mucche al pascolo, felici di donarci il loro latte. Siamo tutti cresciuti con la convinzione che la mucca produca il suo latte così, tutta la vita, per darcelo. La realtà però è ben diversa e non viene mai mostrata nella pubblicità.



Mucche che vivrebbero in natura venti anni, negli allevamenti intensivi per la produzione di latte, arrivano a malapena a cinque o anche meno e poi vengono "rottamate" come fossero vecchie automobili. Mucche spremute come limoni fino all'ultima goccia di latte, che a "fine carriera" non si reggono neppure sulle zampe, tant'è che è stata coniata l'espressione "mucche a terra", e ci vuole il muletto per sollevarle e caricarle sul camion che le porterà al macello. Vitelli fatti nascere uno dietro l'altro per mantenere continua la lattazione della madre, ma suo figlio non berrà quel latte, sarà crudelmente allontanato a pochi giorni di vita e destinato all'ingrasso se maschio o all'industria del latte se femmina.

Allora il problema non è la dicitura "latte di soia", ma la crudeltà verso gli animali, per nulla necessaria perché di questi prodotti non abbiamo affatto bisogno, anzi spesso creano solo problemi. Per non parlare dell'impatto ambientale. Basta abitare vicino a un allevamento di suini o passare davanti la Paderbona per sentire certi profumini e quella è solo la punta dell'iceberg.