Oggi pomeriggio, in piazzetta della Lega ad Alessandria, attivisti di vari gruppi e associazioni animaliste locali hanno dato vita a una originale iniziativa per sensibilizzare la gente sui temi dello sfruttamento degli animali per carne, latte, uova, caccia, vivisezione, intrattenimento, ecc.

 È la prima volta che in Alessandria si sperimenta questo approccio, quello di dare voce a chi voce per reclamare giustizia non ne ha, gli animali: ognuno dei volontari leggeva una storia scritta in prima persona come fosse l'animale stesso a raccontare la propria vita allo scopo di parlare al cuore della gente e scuoterne le coscienze. Qualcuno tra il pubblico si è commosso sentendo certe storie, e anche qualche volontario non ha saputo trattenere la propria commozione.

"Quando sussultiamo di fronte alla sofferenza degli animali, quel sentimento parla bene di noi, anche se lo ignoriamo. E coloro che disprezzano l'amore per le creature a noi compagne vedendolo come sentimentalismo, trascurano una parte importante della loro umanità."
Cit. dal film "EARTHLINGS".

Probabilmente per via del gran calura estiva, non c'era molta gente in giro, ma l'iniziativa potrebbe essere ripetuta di sera, approfittando magari di altre iniziative cittadine tipo notti bianche, ecc. e puntando su una maggiore pubblicizzazione. Occorrente necessario: un microfono e una cassa audio collegata alla rete elettrica, a un generatore, oppure, come in questo caso, alimentata a batteria, eventualmente una pedana e un leggio.



Seguono i testi delle storie di cui si è data lettura.


ORSO DELLA LUNA
di Giuseppina Gucciardi

Il mio nome è ANDREW sono un orso asiatico, sono chiamato "orso della luna" per la caratteristica macchia a forma di luna crescente sul petto.
Sono stato catturato in natura, una tagliola mi aveva reciso una zampa.
Per anni sono stato rinchiuso in una fattoria della bile, in una gabbia grande quanto il mio corpo.
Due volte al giorno venivo munto, nell'addome avevo un catetere inserito direttamente nella cistifellea per l'estrazione della bile, (utilizzata nella medicina tradizionale cinese).
Ogni giorno alla vista dell'uomo accanto alla mia gabbia, per la paura cominciavo a defecare involontariamente.
Immobilizzato, dopo l'estrazione della bile, l'unico sollievo era quello di mettere le zampe anteriori sullo stomaco, piegandomi tremante, i miei occhi erano umidi, le mie membra straziate, il dolore durante l'estrazione era indicibile, insopportabile, il mio l'urlo invadeva la stanza, dove altri orsi come me aspettavano il loro turno.
Ho sofferto la fame, la sete.
Pieno di piaghe era il mio corpo, i miei denti sono stati segati ed estratti gli artigli.
Mi sono ammalato, e per tenermi in vita mi sono stati dati degli antibiotici.
Sono arrivato a Chengdu nella riserva di Animals Asia in una fredda sera del mese di ottobre del 2000.
Sono il " primo" orso liberato da una fattoria della bile da Jill Robinson dopo anni di sofferenza.
Sono passati più di dieci anni, da quel lontano febbraio del 2006 in cui, io, "Andrew", orso della luna, nominato ambasciatore di Animals Asia Foundation, ho attraversato il ponte di luce, un tumore al fegato di 7 Kg stava divorando il mio corpo.
La sera dell'addio mi sono addormentato dolcemente fra le braccia di Jill e di tutti quelli che mi amavano e mi chiamavano affettuosamente "Anderloo" nel santuario di Chengdu.
Sono stati sei anni di serenità, sono stato amato, coccolato, non avevo perso la gioia di vivere, la fattoria della bile era dimenticata, solo i segni di quella indicibile immane sofferenza erano rimasti sul mio corpo.
Sono Andrew, il "primo", il Brad Pitt degli orsi nel mondo, sono il sogno di liberazione degli orsi della luna, di cui sono il simbolo, e continuerà sino a divenirne realtà.
Adesso riposo nel cimitero di Chengdu, sulla mia tomba è stato scritto: "Noi non saremo più deboli senza Andrew, ma più forti grazie a lui".


MAIALE
tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=yMtlOfSHroo

Ciao a tutti, sono un maiale e questa è la mia storia.
Voi vi aspetterete che la mia vita sia come quella che si vede nelle pubblicità, nel verde, piena di momenti di gioco con altri animali.
Ma questa non è per niente la mia storia.
La mia vita inizia imprigionato e non farà che peggiorare. Vedete, come la maggior parte dei maiali, io sono cresciuto in un allevamento intensivo.
Sono nato su un pavimento di ferro insieme ai miei 9 fratelli, mia madre era rinchiusa in una gabbia di gestazione così stretta che non poteva nemmeno girarsi dall'altra parte.
Aveva già avuto sei gravidanze quando sono nato io, e non ha mai avuto nemmeno un momento all'aperto.
Quando avevo solo pochi giorni fui afferrato da un umano, ho urlato e calciato ma non riuscivo a liberarmi. Hanno preso delle forbici, mi hanno tagliato la coda e mi hanno strappato i testicoli. Poi mi hanno aperto la bocca e staccato i denti con una tenaglia, tutto questo senza un minimo di anestesia.
Ho sentito ogni doloroso taglio e strappo e il mio caso non è per niente raro, questo accade ad ogni maiale cresciuto in un allevamento intensivo.
Quando avevo circa 3 mesi fui portato via da mia madre, lei ha gridato quando ci hanno portati via ma non è servito a nulla. Fu l'ultima volta che la vidi.
Mi trasportarono in un altro edificio dove per 7 settimane fui rinchiuso in un recinto affollato con altri 20 maiali.
Camminavamo sul cemento e tutte le nostre feci e urine finivano per terra dove vivevamo. Potete immaginare la puzza.
Mi fu dato del cibo per farmi crescere, dopo 5 mesi su questa dolorosa terra, arrivai a pesare 100 chili.
Stavo molto male di salute e respirare quell'aria mi danneggiava i polmoni.
Ma potevo ancora camminare quando gli uomini arrivarono, urlandoci, colpendoci con pungoli elettrici per farci salire sul camion.
C'erano piccoli buchi ai lati del camion, e in alcuni momenti potevo vedere gli umani, al caldo nelle loro macchine mentre noi gelavamo al freddo.
Ad un certo punto il camion raggiunse un edificio ed io ero terrorizzato. Tutti noi sapevamo che eravamo arrivati in un posto molto, molto brutto.
Ci facevano male le zampe ma gli uomini ci spinsero a forza con i pungoli elettrici all'interno di un piccolo recinto.
Aperto il cancello provai a non andare avanti ma l'uomo mi obbligo ferendomi, mi spinse all'interno di una camera a gas con altri maiali.
La gabbia si chiuse e l'aria iniziò a riempirsi di gas, provai a cercare di respirare aria pulita ma non si poteva scappare a quel gas, facevo fatica a respirare.
Eravamo tutti in agonia, cercando di trovare dell'aria respirabile.
Uno ad uno moriamo in questa camera a gas.

SECONDA VOCE

Dopo la morte, il suo corpo viene appeso a testa in giù per le zampe e la sua gola tagliata.
Le sue parti saranno usate per produrre cibo da vendere nelle macellerie e impacchettate nel cellophane senza nessuna indicazione della vita che aveva.
Pochi di noi pensano all'origine del nostro cibo, per favore tenete conto che quando mangiate pancetta, prosciutto, salsiccia o altri prodotti del maiale, il vostro cibo ha avuto una faccia e una storia, e quella storia non ha avuto un lieto fine, intermezzo o inizio.
Ma tutti noi possiamo creare una storia migliore, possiamo creare una storia in cui gli umani trattano gli animali con gentilezza anziché crudeltà.
Scegliendo cibo vegan possiamo evitare tantissima sofferenza e crudeltà e creare un mondo gentile per tutti.
Grazie.


MAIALE (2)
di Donato Moscato

Mi chiamano maiale
ma lo giuro,
non sono né porco né volgare;
sono sporco è vero
ma molto intelligente.
Dai a un bimbo l'intelletto
e serragli la bocca
strappagli i pensieri, le parole
dimmi ora cosa resta
- una Vita rubata a se stessa -
Sogno liberi campi aperti,
acqua di sorgente
e l'erba fresca del mattino.
Vivo nel fango e nel letame o rinchiuso,
stipato insieme ad altri mille
tutti stretti, ammassati
trasportati,
destinati tutti a quella porta bianca lì,
in fondo,
sul fondo.
Ci attende
la fine di una vita sofferente
o l'inizio di una morte straziante.
V'è forse un confine?
Dove inizia l'una?
dove si interrompe l'altra?
Nato per morire, cresciuto per nutrire, morto per arricchire.
Ricordo ancora un giorno, quel giorno
ad un metro da terra, pensavo di volare,
stordito dal dolore
non sentivo il gancio
aggrappato al mio garretto,
poi d'un tratto il peggior male
il caldo, il sangue:
un coltello nella gola.
Sono l'invitato più importante alle vostre feste,
dalle cene galanti alle grigliate in riva al fiume,
trepidanti m'attendete,
arrivo, gioite
e con le mie carni banchettate.
Eppure non v'è motivo di gioire,
d'essere lieti, gioviali
se dalle vostre bocche gronda sangue
e cadono
brandelli d'animali.
Di me non si butta via niente, dicevano.
La mia pelle, questo taglio grasso, quello più pregiato,
il mio sangue, le
mie ossa, le interiora.
Il Cuore.
Il Cuore è sentimento, umanità, empatia, amore.
Neanche il Cuore mi lasciate.
Anche il Cuore vi mangiate.
Io lo perdo. Voi non ne acquistate.


SCIMMIA
tratto da: http://thefamilytribe.forumcommunity.net/?t=46277253

Buongiorno, non ci conosciamo, non ci siamo mai visti. So che sei molto occupato e che hai un sacco di cose da fare, ma vorrei che mi concedessi qualche istante, ho qualcosa da raccontarti.
Mi hanno separato da mia madre poco tempo dopo la mia nascita. Degli "psicologi" mi hanno rinchiusa in un "pozzo della disperazione": un cilindro alto e stretto di metallo in cui mi hanno lasciato per 45 giorni. Sono rimasta lì da sola, tutta raggomitolata, col braccio intorno al corpo... gli psicologi volevano arrivare a delle conclusioni sull'impotenza e la disperazione che caratterizzano la depressione umana.
Mi hanno rinchiusa con una finta mamma (madre sostitutiva), che prendevo lo stesso fra le braccia, per sentirmi meno sola... ma, ogni tanto, senza preavviso, la mia finta mamma mi lanciava delle scariche (choc elettrici)... allora, mi allontanavo per proteggermi, piangendo.... e aspettavo nel mio angolino che il formicolio sparisse prima di appallottolarmi di nuovo nelle sue braccia.
Gli psicologi volevano trarre delle conclusioni sul comportamento di un bambino in situazione di rigetto materno.
Certo, so che molta gente sulla terra vive grandi sofferenze; per esempio, dei bambini sono separati dalle loro madri, delle donne vengono picchiate, i nonni vengono abbandonati, molte persone sono vittime della guerra!...e quello che voglio dire non toglie nulla alle loro pene.
Ma mi fa bene parlarti di me... Mi hanno fatto correre per molto tempo in una ruota, come quella degli scoiattoli, sai, dovevo imparare a correre a una certa velocità e non di meno... se non andavo abbastanza veloce mi somministravano delle scosse elettriche. Poi mi hanno somministrato dei prodotti tossici e delle dosi di irradiamento radioattivo, mi ha fatto star male, ho vomitato. Allora ho smesso di correre...mi davano delle scosse elettriche più forti... allora ricominciavo a correre nel mio vomito... tanto quanto ho potuto... tutto perché gli scienziati potessero tirare le loro conclusioni sugli effetti delle radiazioni sulla capacità di lavoro.
Mi hanno messo una scatola di metallo sulla testa, e ci hanno picchiato sopra con il martello per causarmi dei traumi cranici e esaminare lo stato dei miei riflessi dopo questa tortura. Altri colpi di martello erano necessari per togliermi quell'inferno di metallo... I ricercatori volevano sapere in che stato si trovassero i riflessi umani dopo aver subìto un trauma cranico.
Molti membri della nostra famiglia sono massacrati così inutilmente e con crudeltà. Tutto questo nell'indifferenza più totale.
Ecco, volevo solo dirtelo, perché tu sapessi... perché questi martiri cessino un giorno... un po' grazie a te.
Mi ha fatto bene raccontarti la mia miseria e quella di tante altre piccole scimmie. Potrei continuare a raccontarti le torture che ci sono inflitte.. .la lista è lunga. Fortunatamente alcuni di noi hanno la fortuna di vivere in paesi in pace con la natura, con la loro famiglia. Sembra che sia molto bella la natura... sono contenta per loro.
Ho comunque buone speranze per l'avvenire... queste parole sono nelle tue mani, nel tuo cuore, e non c'è posto migliore per me, piccola scimmia di laboratorio! Grazie di avermi letto fino alla fine. Se ami le scimmiette come me e gli altri animali, per favore, tu e i tuoi cari, AIUTATECI, PROTESTATE, SCRIVETE AI GOVERNI, INFORMATEVI...


COLOMBACCIO
di Angela Spadafora

Sono ferita.
Quando il proiettile mi ha colpita sono caduta nell'erba alta. Lui ha visto e mi sta cercando.
Fitte lancinanti di dolore mi attraversano il corpo. Sto perdendo molto sangue: il suo odore acre e pungente mi invade le narici e mi da la nausea. So che non potrò sopravvivere. Mi troverà e mi finirà e, se anche non mi trovasse, la morte sopraggiungerebbe, comunque, presto: qualche selvatico del bosco potrebbe fare di me la sua preda o, qualora neppure questo accadesse, finirei per spegnermi dopo lunghi momenti di sofferta agonia.
Ho paura.
Stamattina il cielo è di piombo, una coltre cupa ed opprimente che attanaglia il cuore. Vorrei, comunque, sollevare il collo per guardarlo un'ultima volta, ma non ne ho le forze: è come se tutte le mie ossa fossero state di colpo spezzate.
I vecchi dicono che quando stai per morire tutta la vita ti passa davanti: la mia non potrà dirsi lunga, sono molto giovane e non ho avuto neppure il tempo di rinchiudere nel cuore le immagini, gli odori, i suoni ed i sapori di un paese lontano da poter richiamare ora alla memoria. Questo era, infatti, il mio primo viaggio.
Sono nata nel Nord Europa, in una terra di grandi boschi di querce e faggi. Ricordo l'azzurro terso del cielo estivo, quando non era ancora carico di pioggia come adesso, l'acqua cristallina della sorgente, il verde intenso degli alberi e la dolcezza delle bacche e dei pomi; ricordo il giorno in cui ci siamo radunati con i compagni: eravamo un assembramento chiassoso di migranti diretti a Sud; ricordo l'emozione della partenza: i polmoni riempiti dall'aria fresca dell'autunno, il battito veloce del cuore, la mente eccitata ed euforica. Non pensavo alla morte quel giorno, ma assaporando la mia libertà, fantasticavo sui luoghi che avrei veduto e sulle avventure che avrei vissuto.
Come tutti i giovani, guardavo con fiducia ed ammirazione alla sapienza e saggezza dei vecchi: ero affascinata dal loro sapere e dalla loro capacità, acquisita con l'esperienza, di valutare le situazioni in modo equilibrato e prudente. Avevo sete di conoscere ed apprendere. Volevo acquisire le loro medesime virtù. Presto ho notato che l'adozione, durante i lunghi spostamenti in massa, di una formazione precisa, rigida ed ordinata consente di risparmiare energie e di procedere più velocemente; ho compreso quanto siano fondamentali per l'orientamento la posizione ed i movimenti del sole, della luna e delle stelle, la direzione dei venti, la pendenza dei fianchi dei monti e la forma delle loro cime, il corso dei fiumi e il profilo delle coste; ho imparato che per le soste devono individuarsi luoghi sicuri e prosperi e che bisogna fermarsi giusto il tempo di riposare e di rifocillarsi, salvo, ovviamente, che condizioni climatiche avverse non costringano ad un arresto improvviso e più lungo.
Durante il viaggio ho patito per la stanchezza, le intemperie e la fame, ma ero felice: pensavo alla terra calda e ricca raccontata dai vecchi e pregustavo il nostro arrivo.
Presto, però, abbiamo sentito i primi spari e molti miei compagni sono stati uccisi senza pietà: per tutti uno sparo, la vertiginosa caduta, lo schianto, la morte.
Ora so che anch'io, come gli altri miei compagni caduti, non vedrò le coste d'Africa.
Ma perché ci uccidono? Siamo disarmati, non è della nostra natura la brama di conquista, qui eravamo solo di passaggio, non abbiamo depredato la terra di alcuno, ne minacciato mali o inflitti torti.
Ci uccidono per divertimento! Stroncano le nostre vite per sport! Ahi, quant'è vile e crudele questo passatempo!
Inoltre, come se non fosse già agghiacciante la gioia suscitata dall'uccisione di un innocente, coloro che stanno spargendo il nostro sangue dicono di provare amore per noi.
Veniamo uccisi da chi ci professa amore!
Quanto orrore e repulsione dovrebbe provocare questo “amore” in una mente sana!
Sento i suoi passi nell'erba secca: è ormai vicino.
Non mi resta molto da vivere e devo ancora dirvi chi sono.
Gli uomini con il fucile mi chiamano l'azzurro re del cielo.
Domino sugli immensi spazi aperti raggiungendo grandi altezze con le mie ali potenti e rapide.
Sono una femmina di colombaccio ed oggi è stato il mio ultimo volo.


LUPO
di Donato Moscato

Mai la nostra vita sarà sicura,
in nessun luogo
da nessuna parte
né fra l'ombre delle foreste
né fra i ghiacci dell'innevate creste
sempre in branco e fuggitivi
ci spostiamo
noi, predatori, cacciati
dalle nostre prede:
l'uomo, che nostro cacciator si crede!!
Nostro atavico nemico disarmato
impotente e timoroso
appare,
letale
se il bastone col tuono fa rombare.
Rammenta figlio mio,
queste parole
che in passato
mio padre ai miei ricordi
ha consegnato
e che ancora prima suo padre
alla prole
ha destinato.
Fuggi se ramingo vaghi solitario
con zanne e con gli artigli
sacrifica la vita per il branco
ed i suoi figli.
Lui da tempo ha abbandonato
i rischi della selva
è fuggito alla natura
per imporle la sua velenosa dittatura.
Sai,
tra noi lupi si tramanda,
dagli antichi tempi
ormai nella leggenda,
di quando per lui noi eravamo dei,
ora siamo solo stupidi trofei.
Bestie, così ci ha nominato
perché dell'assalto facciamo una difesa
e per fame serriamo la nostra
mortale presa.
Migliore è lui,
divenuto cacciatore di sé stesso
e non per fame
ammazza perché lascia
i propri uccisi
tra le polveri e il catrame.
I suoi piccoli, i suoi germogli
loro son ciò che di più puro
possiede, piccoli e innocenti,
ma ricorda mai fidarsi:
tutto ciò che lindo, regge fra le mani
s'insozza assumendo tratti insani.
Cuccioli d'umani
piccoli e indifesi col tempo diverranno bracconieri avidi e bramosi.
Solo lei, solo una donna,
dall'alto ci protegge
cela le nostre marce
occultando le nostre tracce;
per questo, quando pieno manifesta il suo splendore
riverenti la ringraziamo
e per ore, il nostro canto al cielo
debitori, le innalziamo.


VITELLO
di Marina Berati

La mia vita è stata breve. È durata solo pochi mesi.
Dicono che quelli come me vivono, liberi nella natura, molti anni: quindici-venti.
Natura. Non so cosa significhi questa parola. Ma dev'essere qualcosa di bello.
La mia mamma era grande e buona. Quando sono nato mi ha subito nutrito col suo latte, che era dolce, cremoso. Buono. Era il latte della mia mamma. Era affettuosa, ed era bella, la mia mamma. Aveva grandi occhi che mi guardavano con amore. Ma dopo pochi giorni vennero e mi portarono via. Ricordo tutto. Il pianto della mamma. Le mie urla. Perché ci hanno voluto separare?
Mi misero in una specie di scatola dove non mi potevo muovere, non mi potevo girare, né distendermi del tutto.
In questa prigionia, in questo isolamento, passai diversi mesi. Dormivo male. Non sognavo più. Almeno nei sogni avrei potuto rivedere la mia mamma. Ma nemmeno quello mi era concesso. Da mangiare mi davano un liquido bianco, senza sapore, del tutto diverso dal latte della mamma. Avevo sempre fame, quella roba non mi nutriva. Ero debole, e stanco, e annoiato.
Non potevo giocare coi miei compagni, rinchiusi come me in altre scatole in quel luogo privo di luce.
Ero triste, solo. Avevo il cuore spezzato dalla nostalgia per la mia mamma. E per l'erba e l'aria pulita che sapevo esistere anche se non le avevo mai viste e annusate.
Passava il tempo e io mi sentivo impazzire, ogni giorno di più. La mia tristezza si mescolò all'odio, per chi ci teneva prigionieri, per chi ci obbligava a questa tortura.
Un giorno, vennero a prendermi, e mi portarono via di nuovo. Sentii rinascere la speranza. "Forse posso tornare dalla mia mamma?" Pensavo. "Chissà quanto sarà stata in pena". Invece mi fecero entrare in una scatola molto più grande, assieme a tutti i miei compagni. Stavamo così stretti che quasi non riuscivo a respirare. La scatola iniziò a muoversi, e noi non riuscivamo a tenerci in equilibrio, e avevamo paura, quelli che cadevano finivano schiacciati.
Era caldo e non avevamo acqua da bere. Continuò così per molte, molte ore, forse per giorni. Alla fine arrivammo, stremati. Finalmente l'aria aperta, la luce del sole. Forse qui potevamo stare in pace, pensavo. Almeno, quelli di noi che non erano morti, o feriti.
Ci fecero mettere in fila. Sentivamo un cattivo odore, che ci rendeva inquieti, e spaventati, anche se all'inizio non riuscivamo a capire cosa fosse.
Poi capimmo.
Era sangue.
E tutto fu chiaro. Ci avevano portato fino a lì, lungo quel viaggio massacrante, per ucciderci. Perché? Non lo sapevamo.
Tentammo di scappare, ma non fu possibile. Uno alla volta, ci facevano salire su una pedana, ci davano un colpo alla testa, ci appendevano a testa in giù, e ci tagliavano la gola. Il sangue usciva, e inondava il pavimento e le mani e i vestiti degli uomini. Ma loro non ci badavano, erano tranquilli e allegri.
Fischiettavano, abituati al massacro. Una volta sgozzati, ci tagliavano a pezzi, con coltelli e seghe elettriche.
Io continuavo a non capire il perché. Provavo quasi più stupore che paura. Assieme all'odio, aumentato dalla delusione. Che illuso a pensare che mi avrebbero liberato, dopo tutti quei mesi di prigionia!
Venne il mio turno. Mi diedero un colpo alla testa, ma non gli riuscì bene, ed ero ancora cosciente. Sentii, intontito com'ero, la lama penetrare nella mia gola. Cercai di scappare, ma non riuscivo a muovermi. Ci misi un bel po', a morire.
Di solito, finisce qui. Ma ogni tanto, a uno di noi viene concesso di sopravvivere nello spirito, come un fantasma. Staccarsi dal corpo, ma vivere ancora con la mente, vedere, sentire, capire. Capire fino a un certo punto: il perché di tutta questa cattiveria non potrà mai essere spiegato e capito.
Seppi così che io ero stato un "vitello a carne bianca". Che la mia mamma era una "vacca da latte". È ancora lì, che partorisce miei fratelli e sorelle, per produrre il latte che gli uomini le rubano. Tra pochi anni ammazzeranno anche lei come hanno fatto con me, quando non produrrà più abbastanza.
Seppi che gli uomini che ci tengono prigionieri si chiamano "allevatori", che quelli che ci uccidono si chiamano "macellai", che quelli che mangiano le nostre carni si chiamano "onnivori". O carnivori.
Seppi anche che avevo un potere, come spirito: apparire nei sogni degli uomini, e trasformarli in incubi, rendere le loro notti un inferno, e i loro giorni una tortura, fino a farli impazzire.
Imparai ad usarlo.
Se notate che il vostro macellaio ha gli occhi cerchiati, la mattina... ora sapete perché.
Prima o poi toccherà anche a voi.


ELEFANTE
tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=R4aI-egE7Fo

Il mio nome è Karen, e questa è la mia storia.
Sono nata in Tailandia nel 1969 e... sono un elefante, credo di doverlo dire.
La prima cosa che ricordo è la mia mamma, lei e gli altri elefanti mi aiutavano a bere dalla mia proboscide. È più difficile di quanto sembri sapete?
Ma quando avevo circa sei mesi fui catturata e la mia vita cambiò, fui portata in un circo, lontano dalla mia mamma e da tutto ciò che conoscevo.
Mi legarono con delle corde e mi sbatterono a terra, mi insegnavano a fare dei trucchi: su, giù, seduta, stai su questo, su quello...
Andava avanti, non finiva mai, e quando mi stancavo usavano dei pungoli elettrici e degli uncini.
Mi colpivano, tagliavano e graffiavano la mia pelle, solo perché non volevo fare i loro trucchi.
Dopo che questo continuò per circa un anno smisi di ribellarmi, faceva troppo male.
I treni invece... macchine nere così piccole che dovevo stare in piedi sempre nella stessa posizione per miglia e miglia quasi ogni settimana dell'anno.
A volte chiudevo i miei occhi e pensavo alla mamma, la sua calda proboscide e le miglia che camminavamo ogni giorno con gli altri elefanti.
Poi il treno ebbe uno sbalzo e vidi dove ero davvero, incatenata dentro ad un vagone, in piedi sulle mie stesse feci.
Quando si fermava dovevo fare altri trucchi e le famiglie con i loro bambini ridevano e ci sorridevano. Non penso che sapessero cosa ci accadeva, almeno lo spero. Non so come le persone potessero ridere se avessero saputo..
Dopo lo spettacolo venivo incatenata di nuovo e fatta salire a forza dentro ai vagoni, muovendomi verso la prossima città.
Questo accadde per anni, ed è dove sono adesso. In giro per spettacoli.
Meno gente viene a vedermi ma vedo ancora le famiglie con i bambini che mi sorridono. Loro non possono sapere cosa mi succede, non possono. Vero?
Il mio nome è Karen e ho bisogno il tuo aiuto.

SECONDA VOCE

Ancora tanti elefanti ed altri animali vengono imprigionati nei circhi che arrivano anche qui in Italia.
Il modo migliore per aiutarli è non andare a vederli.
Per favore, rifiutatevi di andare nei circhi che utilizzano animali.


GALLINA
tratto da https://www.youtube.com/watch?v=95OFyICCBU8

Ciao, il mio nome è... veramente non ho un nome, sono una gallina ovaiola.
Sono nata in un vivaio che vende piccoli pulcini all'industria delle uova.
Non avevo nemmeno un giorno quando fui sbattuta su un nastro trasportatore con centinaia di altri pulcini.
Uno ad uno venivamo presi da grandi mani così che potessero selezionarci, i maschi andavano in un tubo e le femmine in un altro.
Ho sentito che i maschi venivano trasportati poi su un altro condotto con delle lame che li tritavano vivi, solo perché non sono di valore per l'industria delle uova. Non è orribile?
Poi qualcuno mi prese e mi inserì dentro ad un dispositivo che tagliò a metà il mio becco, mi faceva così male che non potei mangiare per giorni.
Nei giorni successivi alcuni pulcini vicini a me morirono per disidratazione e malattie.
Io riuscii a sopravvivere e pensavo di essere stata fortunata.
Fui inserita in una gabbia in cui si aspetta che i pulcini crescano e diventino galline.
Anziché correre all'aperto, dovetti crescere nell'oscurità e nella sporcizia. In un paio di mesi fui caricata su un camion e portata in un allevamento intensivo.
Ho vissuto in una gabbia di ferro in un lungo capannone buio e sporco in mezzo ad altre almeno 100.000 galline.
Le mie piume si staccavano e ho sofferto di costanti graffi e lividi. Siamo tutte così strette nella gabbia che non abbiamo altra scelta se non defecare e urinare l'una sull'altra.
Dopo un paio di mesi una gallina nella gabbia morì e iniziò a decomporsi proprio di fianco a noi giorno dopo giorno, il suo corpo non fu mai tolto dalla gabbia.
Io in qualche modo sopravvissi e di nuovo pensai di essere stata fortunata, ma non potrei aver avuto più torto.
Quando la mia produzione di uova calò, fui presa e sbattuta in una buia gabbia con delle ruote... e arriviamo ad ora...
Il mio corpo è sopra a quello di altre galline che urlano e cercano di sbattere le ali, un gas riempie la gabbia, le galline insieme a me stanno cadendo mentre la vita lascia i loro corpi.
So di essere la prossima, ma io non voglio morire, questa volta non sarò quella fortunata, infatti pochi momenti prima della morte mi rendo conto che non lo sono mai stata.

SECONDA VOCE

Una volta morta, il suo corpo verrà tritato ed utilizzato per cibi per animali ed altri usi.
Nel tempo che è passato mentre avete sentito questa storia, 1500 galline ovaiole sono morte solamente negli stati uniti.
Molte persone che mangiano uova non hanno idea della sofferenza che subiscono queste galline e non si sentirebbero bene se lo sapessero.
Scegli la compassione, non consumare uova.


ORCA
tratta da: https://youtu.be/4ZnuExBBO6g

Il mio nome è Lolita, sono un’orca e questa è la mia storia.
Sono nata nel 1966 al largo degli Stati Uniti.
Ho vissuto una vita tranquilla con la mia mamma e la mia famiglia. Abbiamo viaggiato per centinaia di chilometri ed esplorato ogni angolo dell’oceano.
Ma un giorno una nostra passeggiata nella baia di Pan Cove si trasformò in tragedia.
Alcuni uomini su delle barche mi spinsero nella baia e mi intrappolarono con delle reti.
Io gridai e combattei con tutte le mie forze per raggiungere mia madre dall’altra parte della rete, poi capii che era tutto inutile. E gli uomini mi catturarono.
Il camion che ci trasportava mi portò in un acquario.
Mi unii ad Ugo, catturato due anni fa. Anche lui fu portato via dalla sua famiglia dagli uomini.
Eseguiamo dei salti e degli esercizi in cambio di un po’ di pesce ghiacciato.
Nel 1980 Ugo morì per via delle testate che dava regolarmente contro al cemento della piscina. Il mio unico compagno... si è ucciso.
Per tutto il giorno stavo ferma senza muovermi nella piscina, avevo come compagni solo dei piccoli delfini.
Oggi sono sempre sola e sogno la libertà.
Il mio nome è Lolita e ho bisogno il tuo aiuto.
Non andate agli acquari, c’è più sofferenza di quanta ne vediate.